Catone in Utica, Venezia, Buonarigo, 1729, II edizione

 ATTO SECONDO
 
 SCENA PRIMA
 
  Allogiamenti militari su le rive del fiume Bagrada con varie isole che communicano fra loro per diversi ponti.
 
 CATONE con seguito e MARZIA, indi ARBACE
 
 MARZIA
 Nelle nove diffese
 che la tua cura aggiunge, io veggio o padre
605segni di guerra e pur sperai vicina
 la sospirata pace.
 CATONE
                                  Il solo aspetto
 di Cesare seduce i miei più fidi.
 ARBACE
 Signor, già de' Numidi
 giunser le schiere; eccoti un nuovo pegno
610della mia fedeltà.
 CATONE
                                   Non basta Arbace
 per togliermi i sospetti.
 ARBACE
                                              Oh dei tu credi...
 CATONE
 Sì, poca fede in te.
 ARBACE
                                     Ah Marzia, al padre
 ricorda la mia fé, vedi a qual segno
 giunge la mia sventura.
 MARZIA
                                              E qual soccorso
615darti poss'io?
 ARBACE
                            Tu mi consiglia almeno.
 MARZIA
 Consiglio a me si chiede!
 Servi al dovere e non mancar di fede.
 ARBACE
 (Che crudeltà!)
 CATONE
                               Già il suo consiglio udisti, (Ad Arbace)
 or che risolvi?
 ARBACE
                             Ah se fui degno mai
620dell'amor tuo, soffri l'indugio, io giuro
 per quanto ho di più caro,
 ch'è l'onor mio, ch'io ti sarò fedele.
 Il domandarti alfine
 che l'imeneo nel nuovo dì succeda
625sì gran colpa non è.
 CATONE
                                      Via, si conceda.
 Ma dentro a queste mura
 finché sposo di lei te non rimiro
 Cesare non ritorni.
 MARZIA
                                      (Oh dei!)
 ARBACE
                                                          (Respiro).
 MARZIA
 Ma questo a noi che giova?
 CATONE
                                                    In simil guisa
630d'entrambi io mi assicuro. Impegna Arbace
 con obligo maggior la propria fede
 e Cesare, se il vede
 più stretto a noi, non può di lui fidarsi.
 MARZIA
 E dovrà dilungarsi
635per sì lieve cagione affar sì grande?
 ARBACE
 Marzia sia con tua pace
 t'opponi a torto. Al tuo riposo e al mio
 saggiamente ei provide.
 MARZIA
                                               E tu sì franco
 a me parli così né ti sovviene
640a chi manchi, se vanno
 le speranze di tanti in abbandono?
 ARBACE
 Servo al dovere e mancator non sono.
 CATONE
 Marzia t'acchetta; al nuovo giorno o prence
 sieguan le nozze, io tel consento; intanto
645ad impedir di Cesare il ritorno
 mi porto in questo punto. (In atto di partire)
 MARZIA
 (Dei che farò!)
 
 SCENA II
 
 FULVIO e detti
 
 FULVIO
                              Signor, Cesare è giunto.
 MARZIA
 (Torno a sperar).
 CATONE
                                  Dov'è?
 FULVIO
                                                  D'Utica appena
 entrò le mura.
 ARBACE
                             (Io son di nuovo in pena).
 CATONE
650Vanne Fulvio, al suo campo
 digli che rieda; in questo dì non voglio
 trattar di pace.
 FULVIO
                              E perché mai?
 CATONE
                                                           Non rendo
 ragione a voi dell'opre mie.
 FULVIO
                                                    Ma questo
 in ogn'altro che in te mancar saria
655alla publica fede.
 CATONE
 Mancò Cesare prima. Al suo ritorno
 l'ora prefissa è scorsa.
 FULVIO
                                           E tanto esatto
 i momenti misuri?
 CATONE
                                      Altre cagioni
 vi sono ancora.
 FULVIO
                              E qual cagion? Due volte
660Cesare in un sol giorno a te sen viene
 e due volte è deluso.
 Qual disprezzo è mai questo. Alfin dal volgo
 non si distingue Cesare sì poco
 che sia lecito altrui prenderlo a gioco.
 CATONE
665Fulvio ammiro il tuo zelo, invero è grande.
 Ma un buon roman si accenderebbe meno
 a favor d'un tiranno.
 FULVIO
                                        Un buon roman
 diffende il giusto; un buon roman si adopra
 per la publica pace.
 CATONE
                                      Ove son io
670pria della pace e dell'istessa vita
 si cerca libertà.
 FULVIO
                               Chi a voi la toglie?
 CATONE
 Non più. Da queste soglie
 Cesare parta. Io farò noto a lui
 quando giovi ascoltarlo.
 FULVIO
                                              Invan lo speri,
675sì gran torto non soffro.
 CATONE
                                             E che farai?
 FULVIO
 Il mio dover.
 CATONE
                           Ma tu chi sei?
 FULVIO
                                                       Son io
 il legato di Roma.
 CATONE
                                   E ben di Roma
 parta il legato.
 FULVIO
                             Sì, ma leggi pria
 che contien questo foglio e chi l'invia. (Fulvio dà a Catone un foglio)
 ARBACE
680(Marzia perché sì mesta).
 MARZIA
 (Eh non scherzar, che da sperar mi resta!) (Catone apre il foglio e legge)
 CATONE
 «Il Senato a Catone. È nostra mente
 render la pace al mondo. Ognun di noi,
 i consoli, i tribuni, il popol tutto,
685Cesare istesso il dittator la vuole.
 Servi al publico voto e se ti opponi
 a così giusta brama
 suo nemico la patria oggi ti chiama».
 FULVIO
 (Che dirà!)
 CATONE
                        Perché tanto
690celarmi il foglio?
 FULVIO
                                  Era rispetto.
 MARZIA
                                                           (Arbace
 perché mesto così?)
 ARBACE
                                       Lasciami in pace.
 CATONE
 «È nostra mente... Il dittator la vuole... (Rileggendo da sé)
 Servi al publico voto...
 Suo nemico la patria...» E così scrive
695Roma a Catone?
 FULVIO
                                 Appunto.
 CATONE
                                                     Io di pensiero
 dovrò dunque cangiarmi?
 FULVIO
                                                  Un tal comando
 improviso ti giunge.
 CATONE
                                        È ver. Tu vanne
 e a Cesare...
 FULVIO
                         Dirò che qui l'attendi.
 Che ormai più non soggiorni.
 CATONE
700No gli dirai che parta e più non torni.
 FULVIO
 Ma come!
 MARZIA
                      (O ciel!)
 FULVIO
                                        Così...
 CATONE
                                                      Così mi cangio,
 così servo a un tal cenno.
 FULVIO
 E il foglio...
 CATONE
                        È un foglio infame (Straccia il foglio)
 che concepì, che scrisse
705non la ragion ma la viltade altrui.
 FULVIO
 E il Senato romano...
 CATONE
 Non è più quel di pria. Di schiavi è fatto
 un vilissimo gregge.
 FULVIO
                                        E Roma...
 CATONE
                                                            E Roma
 non sta fra quelle mura. Ella è per tutto
710dove ancor non è spento
 di gloria e libertà l'amor natio.
 Son Roma i fidi miei, Roma son io.
 
    Mi conosci! Sai chi sono!
 Vedi eroe che mi consiglia.
715Vanne, abbassa al suol le ciglia,
 sol la patria adora in me.
 
    Tu chi sei che mi favelli?
 Roma ancor tra voi rubelli
 in Caton disciolto ha il piè.
 
 SCENA III
 
 MARZIA, ARBACE e FULVIO
 
 FULVIO
720A tanto eccesso arriva
 l'orgoglio di Catone?
 MARZIA
                                        Ah Fulvio, e ancora
 non conosci il suo zelo? Ei crede...
 FULVIO
                                                               Ei creda
 pur ciò che vuol, conoscerà fra poco
 se di romano il nome
725degnamente conservo
 e se a Cesare sono amico o servo. (Parte)
 ARBACE
 Marzia posso una volta
 sperar pietà?
 MARZIA
                            Dagl'occhi miei t'invola.
 Non aggiungermi affanni
730colla presenza tua.
 ARBACE
                                    Dunque il servirti
 è demerito in me. Così geloso
 esequisco, nascondo un tuo comando
 e tu...
 MARZIA
              Ma fino a quando
 la noia ho da soffrir di questi tuoi
735rimproveri importuni? Io ti disciolgo
 d'ogni promessa; in libertà ti pongo
 di far quanto a te piace,
 di' ciò che vuoi, pur che mi lasci in pace.
 ARBACE
 E acconsenti ch'io possa
740libero favellar?
 MARZIA
                               Tutto acconsento
 pur che le tue querele
 più non abbia a soffrir.
 ARBACE
                                             Marzia crudele.
 MARZIA
 Chi a tolerar ti sforza
 questa mia crudeltà? Di chi ti lagni?
745Perché non cerchi altrove
 chi pietosa t'accolga? Io tel consiglio.
 Vanne, il tuo merto è grande e mille in seno
 amabili sembianze Africa aduna.
 Contenderanno a gara
750l'aquisto del tuo cor, di me ti scorda.
 Ti vendica così.
 ARBACE
                               Giusto saria.
 Ma chi tutto può far ciò che desia?
 
    So che pietà non hai
 e pur ti deggio amar.
755Dove apprendesti mai
 l'arte d'innamorar
 quando m'offendi?
 
    Se compatir non sai,
 se amor non vive in te,
760perché crudel, perché
 così m'accendi?
 
 SCENA IV
 
 MARZIA, poi EMILIA, indi CESARE
 
 MARZIA
 E qual sorte è la mia!
 EMILIA
                                          Alfin partito
 è Cesare da noi. Come sofferse
 quell'eroe sì gran torto?
765Che disse? Che farà? Tu lo saprai,
 tu che sei tanto alla sua gloria amica.
 MARZIA
 Ecco Cesare istesso, egli tel dica.
 EMILIA
 Che veggo!
 CESARE
                        A tanto eccesso
 giunse Catone? E qual dover, qual legge
770può render mai la sua ferocia doma?
 È il Senato un vil gregge?
 È Cesare un tiranno? Ei solo è Roma!
 EMILIA
 E disse il vero.
 CESARE
                              Ah questo è troppo. Ei brama
 che al mio campo mi renda?
775Io vo, di' che m'aspetti e si difenda. (In atto di partire)
 MARZIA
 Deh ti placa, il tuo sdegno in parte è giusto,
 il veggo anch'io, ma il padre
 a ragion dubitò, de' tuoi sospetti
 m'è nota la cagion, tutto saprai.
 EMILIA
780(Numi, che ascolto!)
 
 SCENA V
 
 FULVIO e detti
 
 FULVIO
                                        Ormai
 consolati signor, la tua fortuna
 degna è d'invidia. Ad ascoltarti alfine
 scende Catone. Io di favor sì grande
 la novella ti reco.
 CESARE
                                  E così presto
785si cangiò di pensiero?
 FULVIO
                                           Anzi il suo pregio
 è l'animo ostinato.
 Ma il popolo adunato,
 i compagni, gli amici, Utica intera
 desiosa di pace a forza ha svelto
790il consenso da lui.
 MARZIA
                                   Signor che pensi?
 Una privata offesa ah non seduca
 il tuo gran cor, vanne a Catone e insieme
 fatti amici serbate
 tanto sangue latino.
 CESARE
                                       Ah Marzia...
 MARZIA
                                                                Io dunque
795a muoverti a pietà non son bastante?
 EMILIA
 (Più dubitar non posso, è Marzia amante).
 FULVIO
 Eh che non è più tempo
 che si parli di pace, a vendicarci
 andiam coll'armi, il rimaner che giova?
 CESARE
800No, facciam del suo cor l'ultima prova.
 FULVIO
 Come!
 MARZIA
                (Respiro).
 EMILIA
                                     Or vanta
 vile che sei quel tuo gran cor. Ritorna
 supplice a chi t'offende e fingi a noi
 ch'è rispetto il timor.
 CESARE
                                         Chi può gli oltraggi
805vendicar con un cenno e si raffrena
 vile non è. Marzia di nuovo al padre
 vuo' chieder pace e soffrirò fintanto
 ch'io perda di placarlo ogni speranza.
 Ma se tanto s'avvanza
810l'orgoglio in lui che non si pieghi, allora
 non so dirti a qual segno
 giunger potrebbe un trattenuto sdegno.
 
    Soffre talor del vento
 i primi insulti il mare.
815Né a cento legni e cento
 che van per l'onde chiare
 intorbida il sentier.
 
    Ma poi se il vento abbonda
 il mar s'inalza e freme
820e colle navi affonda
 tutta la ricca speme
 dell'avido nochier.
 
 SCENA VI
 
 MARZIA, EMILIA e FULVIO
 
 EMILIA
 Lode agli dei. La fuggitiva speme
 a Marzia in sen già ritornar si vede.
 MARZIA
825Nol niego Emilia. È stolto
 chi non sente piacer, quando placato
 l'altrui genio guerriero
 può sperar la sua pace il mondo intero.
 EMILIA
 Nobil pensier, se i publici riposi
830di tutti i voti tuoi sono gl'oggetti.
 Ma spesso avvien che questi
 siano illustri pretesti,
 ond'altri asconda i suoi privati affetti.
 MARZIA
 Credi ciò che a te piace. Io spero intanto
835e alla speranza mia
 l'alma si fida e i suoi timori oblia.
 EMILIA
 Or va', di' che non ami, assai ti accusa
 l'esser credula tanto. È degli amanti
 questo il costume, io non m'inganno e pure
840la tua lusinga è vana
 e sei da quel che speri assai lontana.
 MARZIA
 
    Di tenero affetto
 si pasce il mio core
 e solo nel petto
845gli porge alimento
 pietade ed amor.
 
    Non sa che sia sdegno,
 fierezza o rigore
 né d'odio l'impegno
850conobbe egli ancor.
 
 SCENA VII
 
 EMILIA e FULVIO
 
 FULVIO
 Tu vedi o bella Emilia
 che mia colpa non è s'oggi di pace
 si ritorna a parlar.
 EMILIA
                                    (Fingiamo). Assai
 Fulvio conosco e quanto oprasti intesi.
855So però con qual zelo
 porgesti il foglio e come
 a favor del tiranno
 ragionasti a Catone. Era il tuo fine
 cred'io d'aggiunger foco al loro sdegno.
860Non è così?
 FULVIO
                        Puoi dubitarne?
 EMILIA
                                                        (Indegno).
 FULVIO
 Ora che pensi?
 EMILIA
                               A vendicarmi.
 FULVIO
                                                           E come?
 EMILIA
 Meditai ma non scelsi.
 FULVIO
                                            Al braccio mio
 tu promettesti, il sai, l'onor del colpo.
 EMILIA
 E a chi fidar poss'io
865meglio la mia vendetta?
 FULVIO
                                               Io ti assicuro
 che mancar non saprò.
 EMILIA
                                            Vedo che senti
 delle sventure mie tutto l'affanno.
 FULVIO
 (Salvo un eroe così).
 EMILIA
                                        (Così l'inganno).
 FULVIO
 
    Il tuo affanno ed il tuo sdegno
870la vendetta oggi vedrà,
 
    che far pago il tuo disegno
 al mio braccio onor sarà.
 
 SCENA VIII
 
 EMILIA sola
 
 EMILIA
 D'un simulato amore
 non ti dolere, o sposo,
875ch'altra strada non resta
 che vendicarti all'amor mio che questa.
 
    Ombra cara, ombra adorata
 se mi ascolti e se qui sei,
 tu saprai da' pensier miei
880quanto sia mia fedeltà.
 
    Se non resta vendicata
 la tua morte e il mio dolore
 col svenar quel traditore,
 pace il cor mai non avrà.
 
 SCENA IX
 
 Camera con sedie.
 
 CATONE e MARZIA
 
 CATONE
885Si vuole ad onta mia
 che Cesare si ascolti?
 L'ascolterò. Ma in faccia
 agl'uomini ed ai numi io mi protesto
 che da tutti costretto
890mi riduco a soffrirlo e con mio affanno
 debole io son per non parer tiranno.
 MARZIA
 Oh di quante speranze
 questo giorno è cagion. Da due sì grandi
 arbitri della terra
895incerto il mondo e curioso pende
 e da voi pace o guerra
 o servitude o libertade attende.
 CATONE
 Inutil cura.
 MARZIA
                        Or viene (Guardando dentro la scena)
 Cesare a te.
 CATONE
                         Lasciami seco.
 MARZIA
                                                      (Oh dei
900per pietà secondate i voti miei). (Parte)
 
 SCENA X
 
 CESARE e detti
 
 CATONE
 Cesare, a me son troppo
 preziosi i momenti e qui non voglio
 perdergli in ascoltarti,
 o stringi tutto in poche note o parti. (Siede)
 CESARE
905T'appagherò. (Come m'accoglie!) Il primo (Siede)
 de' miei desiri è il renderti sicuro
 che il tuo cor generoso,
 che la costanza tua...
 CATONE
                                        Cangia favella
 se pur vuoi che t'ascolti. Io so che questa
910artificiosa lode è in te fallace
 e vera ancor da' labri tuoi mi spiace.
 CESARE
 (Sempre è l'istesso!) Ad ogni costo io voglio
 pace con te, tu scegli i patti, io sono
 ad accettargli accinto
915come faria col vincitore il vinto.
 (Or che dirà!)
 CATONE
                             Tanto offerisci?
 CESARE
                                                            E tanto
 adempirò, che dubitar non posso
 d'una ingiusta richiesta.
 CATONE
 Giustissima sarà. Lascia dell'armi
920l'usurpato comando; il grado eccelso
 di dittator deponi. E come reo
 rendi in carcere angusto
 alla patria ragion de' tuoi misfatti,
 questi se pace vuoi saranno i patti.
 CESARE
925Ed io dovrei...
 CATONE
                             Di rimanere oppresso
 non dubitar, che allora
 sarò tuo difensore.
 CESARE
                                     (E soffro ancora!)
 Tu sol non basti; io so quanti nemici
 con gli eventi felici
930m'irritò la mia sorte, onde potrei
 i giorni miei sagrificare invano.
 CATONE
 Ami tanto la vita e sei romano?
 In più felice etade agli avi nostri
 non fu cara così. Curzio rammenta,
935Decio rimira a mille squadre a fronte,
 vedi Scevola all'ara, Orazio al ponte
 e di Cremera all'aque
 di sangue e di sudor bagnati e tinti
 trecento Fabi in un sol giorno estinti.
 CESARE
940Se allor giovò di questi
 nuocerebbe alla patria or la mia morte.
 CATONE
 Per qual ragione?
 CESARE
                                   È necessario a Roma
 che un sol comandi.
 CATONE
                                       È necessario a lei
 che egualmente ciascun comandi e serva.
 CESARE
945E la publica cura
 tu credi più sicura in mano a tanti
 discordi negli affetti e ne' pareri?
 Meglio il voler d'un solo
 regola sempre altrui. Solo fra i numi
950Giove il tutto dal ciel governa e muove.
 CATONE
 Dov'è costui che rassomigli a Giove?
 Io non lo veggo e se vi fosse ancora
 diverebbe tiranno in un momento.
 CESARE
 Tutto pende qua giù da un dubbio evento.
 CATONE
955Così parla un nemico
 della patria e del giusto. Intesi assai,
 basti così. (S’alza)
 CESARE
                       Ferma Catone.
 CATONE
                                                    È vano
 quanto puoi dirmi.
 CESARE
                                      Un sol momento aspetta,
 altre offerte io farò.
 CATONE
                                      Parla e t'affretta. (Torna a sedere)
 CESARE
960(Quanto sopporto!) Il combatuto acquisto
 dell'impero del mondo, il tardo frutto
 de' miei sudori e de' perigli miei
 se meco in pace sei
 dividerò con te.
 CATONE
                                Sì, perché poi
965diviso ancor fra noi
 di tante colpe tue fosse il rossore.
 E di viltà Catone
 temerario così tentando vai?
 Posso ascoltar di più.
 CESARE
                                         (Son stanco ormai).
970Troppo cieco ti rende
 l'odio per me. Meglio rifletti, io molto
 finor t'offersi e voglio
 offrirti più. Perché fra noi sicura
 rimanga l'amistà, darò di sposo
975la destra a Marzia.
 CATONE
                                     Alla mia figlia?
 CESARE
                                                                   A lei.
 CATONE
 Ah prima degli dei
 piombi sopra di me tutto lo sdegno
 che il sangue d'un indegno
 infami il sangue mio, che a me congiunto
980io soffra un traditore, un che di Roma
 ha quasi già nel suo furor sepolta
 l'antica libertà...
 CESARE
                                 Taci una volta.
 Hai cimentato assai
 la toleranza mia. Che più degg'io
985soffrir da te? Per tuo riguardo il corso
 trattengo a' miei trionfi; io stesso vengo
 dell'onor tuo geloso a chieder pace.
 De' miei sudati acquisti
 ti voglio a parte; offro a tua figlia in dono
990questa man vincitrice; a te cortese
 per cento offese e cento
 rendo segni d'amor. Non sei contento?
 Che vorresti? Che speri?
 Che pretendi da me? Se d'esser credi
995argine alla fortuna
 di Cesare tu solo invan lo speri.
 Han principio dal ciel tutti gl'imperi.
 CATONE
 Favorevoli agl'empi
 sempre non son gli dei.
 CESARE
                                             Vedrem fra poco
1000colle nostr'armi altrove
 chi favorisca il ciel. (In atto di partire)
 
 SCENA XI
 
 MARZIA e detti
 
 MARZIA
                                       Cesare e dove?
 CESARE
 Al campo.
 MARZIA
                      Oh dio t'arresta.
 Questa è la pace? (A Catone) È questa
 l'amistà sospirata? (A Cesare)
 CESARE
                                      Il padre accusa.
1005Egli vuol guerra.
 MARZIA
                                 Ah genitor.
 CATONE
                                                        T'acchetta.
 Di costui non parlar.
 MARZIA
                                        Cesare...
 CESARE
                                                          Ho troppo
 tolerato finora.
 MARZIA
 I prieghi d'una figlia?... (A Catone)
 CATONE
                                               Oggi son vani.
 MARZIA
 D'una romana il pianto... (A Cesare)
 CESARE
                                                 Oggi non giova.
 MARZIA
1010Ma qualcuno a pietade almen si muova.
 CESARE
 Per soverchia pietà quasi con lui
 vile mi resi. Addio... (In atto di partire)
 MARZIA
                                         Fermati.
 CATONE
                                                            Eh lascia
 che s'involi al mio sguardo.
 MARZIA
                                                    Ah no placate
 ormai l'ire ostinate. Assai di pianto
1015costano i vostri sdegni
 alle spose latine. Assai di sangue
 costano gli odi vostri all'infelice
 popolo di Quirino. Ah non si veda
 su l'amico trafitto
1020più incrudelir l'amico. Ah non trionfi
 del germano il germano. Ah più non cada
 al figlio che l'uccise il padre accanto.
 Basti alfin tanto sangue e tanto pianto.
 CATONE
 Non basta a lui.
 CESARE
                                Non basta a me! Se vuoi (A Catone)
1025v'è tempo ancor. Pongo in oblio le offese,
 le promesse rinovo,
 l'ire depongo e la tua scelta attendo.
 Chiedimi guerra o pace,
 sodisfatto sarai.
 CATONE
1030Guerra, guerra mi piace.
 CESARE
                                                E guerra avrai.
 
    Se in campo armato
 vuoi cimentarmi,
 vieni che il fato
 fra l'ire e l'armi
1035la gran contesa
 deciderà.
 
 
 SCENA XII
 
 CATONE, MARZIA, indi EMILIA
 
 MARZIA
 Ah signor che facesti? Ecco in periglio
 la tua, la nostra vita.
 CATONE
                                        Il viver mio
 non sia tua cura. Emilia
1040non v'è più pace e fra l'ardor dell'armi
 mal sicure voi siete; onde alle navi
 portate il piè. Sai che il german di Marzia
 di quelle è duce e in ogni evento avrete
 pronto lo scampo almen.
 EMILIA
                                               Qual via sicura
1045d'uscir da queste mura
 cinte d'assedio?
 CATONE
                                In solitaria parte
 d'Iside al fonte appresso
 a me noto è l'ingresso
 di sotterranea via. Ne cela il varco
1050de' folti dumi e de' pendenti rami
 l'invecchiata licenza. All'acque un tempo
 servì di strada, or dall'età cangiata
 offre asciutto il camino
 dall'offesa cittade al mar vicino.
 EMILIA
1055(Può giovarmi il saperlo).
 MARZIA
                                                 Ed a chi fidi
 la speme o padre? È mal sicura, il sai,
 la fé d'Arbace, a ricusarmi ei giunse.
 CATONE
 Ma nel cimento estremo
 ricusarti non può; di tanto eccesso
1060è incapace, il vedrai.
 MARZIA
                                        Farà l'istesso.
 
 SCENA XIII
 
 ARBACE e detti
 
 ARBACE
 Signor, so che a momenti
 pugnar si deve, imponi
 che far degg'io. Senza aspettar l'aurora
 ogn'ingiusto sospetto a render vano
1065vengo sposo di Marzia, ecco la mano.
 (Mi vendico così).
 CATONE
                                    Nol dissi o figlia.
 MARZIA
 Temo Arbace ed ammiro
 l'incostante tuo cor.
 ARBACE
                                      D'ogni riguardo
 disciolto io sono e la ragion tu sai.
 MARZIA
1070(Ah mi scopre).
 ARBACE
                                A Catone
 deggio un pegno di fede in tal periglio.
 CATONE
 Che tardi?
 EMILIA
                       (Che farà!)
 MARZIA
                                              (Numi consiglio).
 EMILIA
 Marzia ti rasserena.
 MARZIA
 Emilia taci.
 ARBACE
                         Or mia sarai.
 MARZIA
                                                    (Che pena!)
 CATONE
1075Più non s'aspetti, a lei
 porgi Arbace la destra.
 ARBACE
                                            Eccola. In dono
 il cor, la vita, il soglio
 così presento a te.
 MARZIA
                                    Va', non ti voglio.
 ARBACE
 Come!
 EMILIA
                (Che ardir!)
 CATONE
                                         Perché?
 MARZIA
                                                          Finger non giova,
1080tutto dirò. Mai non mi piacque Arbace,
 mai nol soffersi, egli può dirlo; ei chiese
 il differir le nozze
 per cenno mio, sperai che alfin più saggio
 l'autorità d'un padre
1085impegnar non volesse a far soggetti
 i miei liberi affetti.
 Ma già che sazio ancora
 non è di tormentarmi e vuol ridurmi
 a un estremo periglio,
1090a un estremo rimedio anch'io m'appiglio.
 CATONE
 Son fuor di me. Donde tant'odio? E donde
 tanta audacia in costei?
 EMILIA
                                              Forse altro foco
 l'accenderà.
 ARBACE
                         Così non fosse.
 CATONE
                                                      E quale
 de' contumaci amori
1095sarà l'oggetto?
 ARBACE
                             Oh dio.
 EMILIA
                                             Chi sa.
 CATONE
                                                            Parlate.
 ARBACE
 Il rispetto...
 EMILIA
                         Il decoro...
 MARZIA
 Tacete, io lo dirò; Cesare adoro.
 CATONE
 Cesare!
 MARZIA
                  Sì perdona
 amato genitor, di lui m'accesi
1100pria che fosse nemico; io non potei
 sciogliermi più. Qual è quel cor capace
 d'amare e disamar quando gli piace?
 CATONE
 Che giungo ad ascoltar.
 MARZIA
                                             Placati e pensa
 che le colpe d'amor...
 CATONE
                                         Togliti indegna,
1105togliti agl'occhi miei.
 MARZIA
                                         Padre...
 CATONE
                                                          Che padre.
 D'una perfida figlia
 ch'ogni rispetto oblia, che in abbandono
 mette il proprio dover, padre non sono.
 MARZIA
 Ma che feci? Agl'altari
1110forse i numi involai? Forse distrussi
 con sacrilega fiamma il tempio a Giove?
 Amo alfine un eroe di cui superba
 sopra i secoli tutti
 va la presente etade, il cui valore
1115gl'astri, la terra, il mar, gli uomini, i numi
 favoriscono a gara, onde se l'amo
 o che rea non son io
 o il fallo universale approva il mio.
 CATONE
 Scelerata il tuo sangue... (In atto di ferir Marzia)
 ARBACE
                                                Ah no, t'arresta.
 EMILIA
1120Che fai?
 ARBACE
                   Mia sposa è questa.
 CATONE
                                                         Ah prence, ah ingrata.
 Amar un inimico!
 Vantarlo in faccia mia! Stelle spietate
 a quale affanno i giorni miei serbate.
 
    Dovea svenarti allora
1125che apristi al dì le ciglia. (A Marzia)
 Dite, vedeste ancora (Ad Emilia)
 un padre ed una figlia (Ad Arbace)
 perfida al par di lei,
 misero al par di me.
 
1130   L'ira soffrir saprei
 d'ogni destin tiranno,
 a questo solo affanno
 costante il cor non è.
 
 SCENA XIV
 
 MARZIA, EMILIA ed ARBACE
 
 MARZIA
 Sarete paghi alfin. Volesti al padre (Ad Arbace)
1135vedermi in odio? Eccomi in odio. Avesti
 desio di guerra, eccoci in guerra. Or dite
 che bramate di più.
 ARBACE
                                       M'accusi a torto.
 Tu mi togliesti, il sai,
 la legge di tacer.
 EMILIA
                                 Io non t'offendo
1140se vendette desio.
 MARZIA
                                    Ma uniti intanto
 contro me congiurate.
 Ditelo che vi feci, anime ingrate.
 
    So che godendo vai
 del duol che mi tormenta.
1145Ma lieto non sarai, (Ad Arbace)
 ma non sarai contenta, (Ad Emilia)
 voi penerete ancor.
 
    Nelle sventure estreme
 noi piangeremo insieme.
1150Tu non avrai vendetta, (Ad Emilia)
 tu non sperare amor. (Ad Arbace)
 
 SCENA XV
 
 EMILIA ed ARBACE
 
 EMILIA
 Udisti Arbace? Il credo appena. A tanto
 giunge dunque in costei
 un temerario amor? Ne vanti il foco,
1155te ricusa, me insulta e il padre offende.
 ARBACE
 Di colei che m'accende
 ah non parlar così.
 EMILIA
                                     Non hai rossore
 di tanta debolezza! A tale oltraggio
 resisti ancor?
 ARBACE
                            Che posso far. È ingrata,
1160è ingiusta, io la conosco e pur l'adoro.
 E sempre più s'avanza
 colla sua crudeltà la mia costanza.
 EMILIA
 
    Se sciogliere non vuoi
 dalle catene il cor,
1165di chi lagnar ti puoi,
 non sei costante.
 
    Ti piace il suo rigor,
 non cerchi libertà,
 l'istessa infedeltà
1170ti rende amante.
 
 SCENA XVI
 
 ARBACE
 
 ARBACE
 L'ingiustizia, il disprezzo,
 la tirania, la crudeltà, lo sdegno
 dell'ingrato mio ben senza lagnarmi
 tolerar io saprei. Tutte son pene
1175soffribili ad un cor. Ma su le labra
 della nemica mia sentir il nome
 del felice rival, saper che l'ama,
 udir che i pregi ella ne dica e tanto
 mostri per lui d'ardire
1180questo questo è penar, questo è morire.
 
 Vedi in fine
 
    Che sia la gelosia
 un gielo in mezzo al foco
 è ver, ma questo è poco.
 È il più crudel tormento
1185d'un cor che s'innamora.
 E questo è poco ancora.
 Io nel mio cor lo sento
 ma non lo so spiegar.
 
    Se non portasse amore
1190affanno sì tiranno,
 qual è quel rozzo core
 che non vorrebbe amar.
 
 Fine dell’atto secondo